La ricerca delle pari opportunità è una sfida che la società combatte praticamente ogni giorno. Nonostante i livelli molto più alti di emancipazione raggiunti dalle donne rispetto a un non lontanissimo passato, sono ancora troppi i pregiudizi errati che reputano le donne non adatte a ruoli autoritari e di comando.
Questa considerazione della donna trova eco anche nel mondo della criminalità organizzata. Il potere è in mano agli uomini, quasi sempre, e le donne sono relegate soltanto all’antichissimo ruolo di mater familias, quasi sempre. Già, quasi sempre, perché a volte – e la storia criminale di questo paese lo dimostra – sono le donne a prendere in mano le redini dei clan e a gestirli al posto degli uomini. Normalmente, ciò accade quando il capoclan, imparentato in qualche modo con la futura capoclan, è ‘costretto’ a lasciare il posto di comando per prematura morte o incarcerazione, così come si evince da tante storie di camorra, da Pupetta Maresca a Rosetta Cutolo, passando per Celeste Giuliano e, purtroppo, tante altre. Ironia della sorte: spesso, queste donne che rimpiazzano gli uomini si dimostrano molto più determinate, autoritarie e, a volte, crudeli di quanto non lo siano stati i loro omologhi maschili.
Il brillante lavoro narrativo di Vincenzo Zurlo ha il merito di squarciare il velo di omertà che le mafie stendono anche sul ruolo nefasto e mortifico delle madri di mafia. Ed apre alla conoscenza della verità che deve essere l’obiettivo primario di chi si rivolge ai giovani nella speranza di offrire loro gli strumenti per fare le scelte giuste e per imboccare anche in età non ancora matura la retta via verso un futuro roseo e ricco di bellezza.
(dalla prefazione di Catello Maresca)